martedì 13 ottobre 2009

Gotti d’oro. Un turbo-liberista ai vertici dello Ior

di Valerio Gigante, da Adista 99/09

La tesi è sempre la stessa ed è da decenni cavallo di battaglia dell’Opus Dei: non solo il denaro non è “sterco del demonio”, ma la ricchezza può essere addirittura strumento di santificazione. Di più: “Il capitalismo cattolico resta il miglior sistema economico possibile, nonostante le eresie che ne hanno compromesso le successive applicazioni”. Questo, in pillole, il pensiero del banchiere cattolico Ettore Gotti Tedeschi, dal 23 settembre scorso presidente dello Ior, la potente banca vaticana il cui bilancio è noto esclusivamente al papa e ad una cerchia ristrettissima di amministratori e che in passato è stata al centro di numerosi scandali finanziari, fra i quali spicca il crac del Banco Ambrosiano.

A portare Gotti Tedeschi alla guida dell’istituto, più che la sua fede, la sua vicinanza con l’Opus Dei, l’amicizia con il papa (“gli dovrebbero dare il Nobel per l'economia”, ha detto subito dopo l’uscita della Caritas in veritate) e con il segretario di Stato Vaticano card. Tarcisio Bertone (la nomina è stata fatta dalla commissione di vigilanza dello Ior, presieduta proprio da Bertone). Tre carte vincenti che gli hanno consentito di vincere la concorrenza di altri autorevoli candidati (si era parlato di Luigi Profiti, direttore dell'ospedale Bambino Gesù, di Antonio Fazio, ex governatore della Banca d'Italia, di Piero Melazzini, presidente della Banca Popolare di Sondrio e di Hans Tietmeyer, già presidente della Bundesbank).

Dio e mammona
Gotti Tedeschi è nato a Pontenure nel 1945. Credente non praticante, negli anni ‘60 divenne un fervente cattolico grazie all’influenza di Giovanni Cantoni, piacentino come lui, fondatore dell’organizzazione della destra integralista Alleanza Cattolica (che annovera fra i suoi militanti il sottosegretario all'Interno con delega alla sicurezza Alfredo Mantovano), nonché direttore di Cristianità, l’organo del movimento.

Padre di 5 figli, parla perfettamente inglese, francese e spagnolo. Dal 1973 al 1980 si è occupato di consulenza manageriale ed aziendale a Parigi presso la prestigiosa Metra-Sema e poi, dal 1980 al 1984, a Milano e Londra con McKinsey, la più famosa società di consulenza manageriale. Nel 1985 ha esordito nel mondo della finanza con la Procomin di Imi e Bnl e la merchant bank Sige (gruppo Imi).

In questo periodo Gotti Tedeschi conobbe Gianmario Roveraro, banchiere dell’Opus Dei coinvolto nei crac Parmalat e Federconsorzi, trovato morto in circostanze rimaste misteriose nel 2006 in un casolare tra Solignano e Citerna Taro, a una trentina di chilometri da Parma. Con Roveraro, Gotti Tedeschi lasciò Sige e nel 1987 fondò Akros, un’altra merchant bank di cui è stato anche membro del Cda e del comitato esecutivo, per poi divenirne l’Amministratore Delegato.

Lasciata nel 1992 anche Akros, l’anno successivo venne chiamato da Emilio Botin (anche lui molto vicino all'Opus Dei), presidente e azionista del gruppo bancario spagnolo Santander (la prima banca privata d'Europa) alla presidenza della Finconsumo Banca Spa, poi divenuta Santander Consumer Bank, società guida delle attività italiane del gruppo Santander. Successivamente, è stato consigliere d’amministrazione del Sanpaolo Imi e della Cassa Depositi e Prestiti.

Ha ricoperto vari incarichi in fondazioni bancarie, fondi di Venture Capital e Private Equity. Dal 2004 al 2007 è consigliere di amministrazione indipendente, nominato dal ministro dell’Economia, della Cassa Depositi e Prestiti, di cui è di nuovo nel Cda dal 2009. Dal 1996 al 2006 è stato prima docente in Strategia finanziaria all’Università Cattolica del Sacro Cuore, poi di Etica economica all’Università di Torino. Consulente economico del ministro Tremonti, attualmente insegna Etica della Finanza all’Università Cattolica di Milano; è presidente del Board of Trustees e membro dell'Advisory Board del Centro Studi Tocqueville-Acton; nonché, last but don’t least, editorialista del Sole 24 Ore e de L'Osservatore Romano, chiamato da Gian Maria Vian al capezzale del giornale vaticano per rilanciarne i contenuti anche sulle questioni economiche.

Gotti Tedeschi è un turbo-liberista, convinto sostenitore del mercato e immune da ogni tentazione di tipo keynesiano. Non a caso il suo ultimo saggio si intitola Spiriti animali. La concorrenza giusta, pubblicato dall’Università Bocconi. Lo ha scritto con Alberto Mingardi, animatore dell’Istituto Bruno Leoni (il più liberista fra i centri italiani di analisi economica). La prefazione è di Alessandro Profumo, amministratore delegato del gruppo Unicredit.

Il capitalismo? Tutta colpa dell’eresia protestante
Non a caso, in barba a quanto sostenuto da Max Weber nel celebre saggio L'etica protestante e lo spirito del capitalismo, Gotti Tedeschi sostiene che i principi del liberismo non sono figli di Lutero e della rivoluzione industriale. Sarebbero nati prima. Ed avrebbero matrice cattolica. Perché, nonostante nel medioevo la Chiesa considerasse usura prestare denaro ad interesse, la Bibbia non è contro il mercato. E neppure anticapitalista. Anzi, secondo il banchiere, già nei monasteri medioevali, funzionavano meccanismi di scambio e di concorrenza che facevano presagire uno sviluppo in senso capitalistico della società feudale.

“Il capitalismo vero e proprio – ha scritto Gotti Tedeschi nel suo libro Denaro e Paradiso. L’economia globale e il mondo cattolico (Piemme, Casale Monferrato 2004) – nacque nell’Italia del XIII secolo, quando il protestantesimo era di là da venire. Esso deve molto al grande dibattito, stimolato dai francescani e dai domenicani, sull’usura, come allora veniva chiamato il prestito a interesse. Senza quest’ultimo, dichiarato lecito, non si dà capitalismo. Dunque il capitalismo nasce in casa cattolica”.

Nel suo libro, Gotti Tedeschi si spinge ancora oltre e afferma che i difetti del capitalismo, l’affarismo, il laissez-faire, la legge del più forte, “potrebbero essere imputati all’etica protestante”. Con l’eresia protestante e la nascita di un modello economico protestante – ha scritto il banchiere – si crea un’“immagine deformata di capitalismo, che però nulla ha a che vedere con quella originale cattolica.

In origine, quando era veramente cattolico, il capitalismo era apprezzato perché lo si vedeva incentrato su virtù umane utili alla collettività quali l’iniziativa, la laboriosità, lo spirito di avventura, e comportava conseguente benessere di cui beneficiavano tutti. È nel corso del XIX secolo, nella fase di industrializzazione della parte nord del pianeta, quella protestante, che il capitalismo viene associato a spirito egoistico, disuguaglianza, sfruttamento, crisi economiche, fino a vederlo originare il colonialismo, l’imperialismo e le guerre di sopraffazione”.

Concetto ribadito efficacemente anche durante un convegno sul “Cristianesimo e l’etica del mercato” tenuto il 16 giugno 2005: “Così, mentre da una parte la predicazione cristiana invitava al distacco, dall’altra la pratica operosità che consacrava il lavoro, lo studio e le tecniche faceva sì che nei ‘secoli bui’ monasteri benedettini diventassero quasi delle Silicon Valley orientate a Dio a beneficio degli uomini. Là si posero le premesse indispensabili allo stesso capitalismo, si svilupparono tecniche di siderurgia, energia, idraulica, tessitura, costruzioni”.

Ciononostante, quanto la morale cattolica possa realmente permeare l’economia di mercato resta da chiarire, dal momento che, come ammette il banchiere, “la morale cattolica in economia può essere vissuta e praticata individualmente, non come regola collettiva”, perché “la salvezza è individuale, così come l’acquisizione dei meriti” e “ogni uomo, giocandosi appieno nell’ambito pubblico dell’economia, è chiamato a rispondere individualmente alla chiamata della santità”.

La prefazione al volume Denaro e Paradiso è del prefetto della Congregazione dei Vescovi card. Giovanni Battista Re (molto vicino ai cosiddetti “finanzieri bianchi”, Bazoli e Geronzi su tutti). Re, membro, tra l’altro, dell'Amministrazione del Patrimonio della Sede Apostolica, sottolineò che il testo aveva “il merito di illustrare come la morale cattolica non sia ostacolo allo sviluppo, né sia contraria a che il mercato e l’attività economica seguano le proprie leggi, purché queste siano rispettose della dignità della persona umana e dei suoi valori”.

La strana coppia
Nel 2007, quella di Gotti Tedeschi è tra le prime firme in calce ad un programma in 13 punti lanciato dall’ex segretario del partito radicale Daniele Capezzone, uscito dall’ala forse un po’ troppo protettrice di Marco Pannella ma ancora non approdato sulle sponde del Popolo della Libertà. Una strana accoppiata quella del banchiere cattolico e dell’ex radicale, strenuo difensore di fecondazione assistita, aborto e diritto alla morte, che si spiegava in parte con il fatto che il programma aveva carattere esclusivamente politico ed economico, improntato - neanche a dirlo - al più sfrenato liberismo (tra le proposte, un’unica aliquota Irpef al 20%, modello istituzionale di tipo presidenziale, privatizzazioni, pensione a 65 anni, superamento dello Statuto dei Lavoratori, detassazione degli straordinari, abolizione del valore legale dei titoli di studio, ecc.).

“Figli” della crisi
Durante una lezione-conferenza tenuta il 22 maggio del 2009 all’Università della Santa Croce (dell’Opus Dei) sul rapporto tra l’economia globale e il mondo cattolico, Gotti Tedeschi ha sottolineato, ribadendo un altro pilastro del suo pensiero economico, come a suo giudizio la crisi economica si possa superare puntando su etica e famiglia. Anche perché, ha sottolineato (con una teoria che non trova sponde nel pensiero economico contemporaneo, ma che ha trovato accoglienza nell’ultima enciclica del papa), la riduzione del numero delle nascite è tra i fattori principali che hanno determinato la stagnazione degli ultimi anni.

Gotti Tedeschi ha rilevato come a partire dagli anni ‘80 si sia assistito a una diminuzione della crescita del Pil nei Paesi sviluppati in misura conseguente all’aumento della denatalità. Alla non crescita reale si è però risposto non con una seria politica di sostegno alla natalità, ma con una crescita fittizia fatta di consumi a debito e prodotti finanziari ad alto rischio come i mutui subprime.

Al contrario, se viene lasciato svilupparsi correttamente, il capitalismo - secondo Gotti Tedeschi - sarebbe un sistema economico stabile e in grado di garantire sviluppo potenzialmente illimitato per tutti. Anche per i poveri. Per questo il banchiere ci tiene a far sapere di essere un fan di Muhammad Yunus, premio Nobel per la pace, e “padre” del microcredito. “Che allevi galline o che commerci stoffe usate – ha detto un paio di anni fa Gotti Tedeschi nel corso di una intervista al Giornale (1/4/2007) – anche nella persona più povera e ignorante del Terzo mondo c’è una scintilla di creatività che va sostenuta. Il meglio di noi stessi produce valore. La ricchezza, per distribuirla, bisogna prima crearla. Il fondatore dell’Opus Dei diceva che il denaro non serve se è poco”.

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