martedì 13 ottobre 2009

La stampa estera e la legislazione antimafia

di Davide Pecorelli

La mafia italiana non è certo un fenomeno sconosciuto oltre i confini nazionali. Ha imparato a farsi conoscere, porgendo - in paesi spesso lontani dalle logiche mafiose- biglietti da visita scritti col sangue, fatti di fiumi di stupefacenti, accompagnandosi coi falsi miti del mafioso pecorararo con coppola e lupara. Meno chiara in Europa è invece la normativa che l'Italia ha approvato per contrastare il potere della malavita nel tessuto socio-economico. Leggi come la Rognoni-La Torre o la 109/96 sono peculiarità della legislazione italiana, approvate dal Parlamento per affrontare a viso aperto le mafie. Nuove tipologie di reato, pene più severe per fatti criminosi legati alla malavita, confisca del patrimonio illecitamente accumulato e riutilizzo a fini sociali dei beni rappresentano la risposta dello Stato alla protervia della mafia.

Una fattispecie giuridica tutta italiana, che ha destato interesse nella stampa estera. Un interesse che, grazie alla collaborazione tra l'Agenzia del Demanio e Libera, è scaturito in una serie di incontri per approfondire la tematica. Ciclo d'incontri che è approdato, venerdì 9 ottobre, a San Sebastiano da Po, presso Cascina Bruno e Carla Caccia. Un bene confiscato, alle porte di Torino, intitolato a Bruno Caccia, a capo del Tribunale torinese ucciso dalla 'ndrangheta il 26 giugno 1983.

Presenti alla conferenza, - che ha visto come relatori Davide Mattiello, referente piemontese di Libera; Sara Lege e Isabella Spezzano, residenti della struttura e Flavia Trapani, militante di Libera Piemonte-, giornalisti da Svizzera, Gran Bretagna e Germania.

E' stato Davide Mattiello ad aprire la conferenza sottolineando il valore della confisca dei patrimoni mafiosi: “Sottrargli i beni significa colpirli nel nodo nevralgico del loro potere, cioè la disponibilità delle loro ricchezze, mentre riutilizzare i loro possedimenti a fini sociali significa colpirli nel loro prestigio”. Un potere che cresce esponenzialemente al consenso generato dalle mafie nel territorio, elemento sul quale Mattiello ha insistito per meglio spiegare alla stampa estera le caratteriste delle organizzazioni mafiose: “ Parliamo di mafie quando parliamo di criminalità organizzata che ha una particolare vocazione ad occupare lo spazio pubblico, a infiltrare il potere pubblico”. Sul riutilizzo sociale dei beni confiscati, il referente di Libera Piemonte ha analizzato il valore aggiunto che la legge 109/96 ha portato nella lotta al contrasto al consenso mafioso: “ Una legge voluta da Libera attraverso una raccolta di firme; ora migliaia di persone possono toccare con mano che la legalità conviene”.

Sara Lege, residente nella Cascina Bruno e Carla Caccia, ha parlato invece dell'iter necessario a liberare il bene dai Belfiore, famiglia 'ndranghetista per decenni protagonista della criminalità organizzata torinese. “Ci sono voluti 10 anni per portare a termine la confisca – ha spiegato Sara ai giornalisti- San Sebastiano da Po è un paese piccolo, è non è stato facile destinare il bene. Solo grazie al lavoro tra Libera, Prefettura e il Comune nel 2007 gli ultimi abitanti hanno abbandonato la struttura”.

Da un anno una nuova storia è incominciata in questo bene. “La nostra parola d'ordine è educazione, perchè vogliamo che, attraverso tutte le svariate attività svolte, passi un messaggio educativo – ha sottolineato Sara Lege – organizziamo diversi eventi artistici, culturali, formativi aperti alla cittadinanza e chiunque passi da questa struttura capisce bene che qui si sceglie di stare da una parte piuttosto che da un'altra”. Oltre l'educazione, Cascina Caccia è diventata luogo di produzione di valore economico pulito. Presto, infatti, entrerà nel circuito di Libera Terra il miele prodotto nel terreno che circonda la cascina; il primo prodotto proveniente da un bene confiscato al Nord.

Il cascinale in provincia di Torino è un esempio chiaro di come la mafia sia viva e presente nelle regioni del settentrione. Ma non è un caso isolato quello torinese. I numeri fotografano in modo chiaro la massiccia presenza delle cosche in questa laboriosa regione. Più di un centinaio sono i beni sottratti alla malavita solo in Piemonte. E ora, tramite un lavoro portato avanti da Libera Piemonte, questi beni sono stati censisti e sul web ( www.liberapiemonte.it) si trovano le caratteristiche delle strutture, le motivazioni del sequestro, l'attuale utilizzo.

Per i giornalisti stranieri, la mattinata si è conclusa facendo un giro della struttura, toccando così con mano il significato del riutilizzo sociale dei patrimoni confiscati alle mafie.

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